Musei e Mostre

Mostra Permanente Carlo Fayer

Descrizione

Benvenuto a questa mostra dedicata al Maestro Carlo Fayer realizzata grazie alla concessione delle opere appartenenti all’archivio personale del pittore (reperite negli studi di Ripalta Cremasca e Corte Madama - quadri da cui l’autore non ha mai voluto separarsi) e rese disponibili dagli eredi Umberto e Giuseppe. Le opere ricevute unitamente a quelle già di appartenenza comunale, costituiscono una preziosa esposizione che conta oltre 100 lavori divisi fra scultura e pittura e che ripercorrono tutta la vita artistica del pittore. La collezione raccoglie le opere che maggiormente rappresentano la Ricerca, le più Concettuali, quelle in cui prevale l’approfondimento delle varie tematiche affrontate dall’autore nei differenti periodi della sua attività. Chi finora ha visitato la mostra spesso ammette di non conoscere questa produzione artistica del pittore.

Non vi sono infatti quelle raffigurazioni per cui il pittore è maggiormente conosciuto, ossia le opere più “fruibili”, non per questo meno importanti o di minore qualità e fattura, quali il pregevole periodo “spagnolo” dei picadores a cavallo, le intense e colorate vedute di Burano, i fantastici mazzi di fiori ecc., opere queste dove la “concettualità” e la ricerca del pittore sono meno evidenti (anche se sempre presenti) ma conservano caratteristiche più simili a copie dal vero, realistiche del soggetto che raffigurano.

Pochi quindi conoscono la produzione artistica degli anni ’70, ad esempio, composizioni e collage realizzati nel pieno fermento culturale artistico di quegli anni in Italia e in Europa, quando il maestro si accingeva a produrre opere di pura concettualità. Questa mostra permette di colmare questa lacuna tenendo presente che, anche grazie a queste opere meno conosciute, l’artista ha avuto i suoi riconoscimenti più importanti, in Italia e all’estero esponendo in collettive con grandi artisti dell’arte contemporanea da Burri Baj a De Chirico, da Guttuso a Pistoletto, da Pomodoro a Kounnelis ed altri.

Alla collezione di opere artistiche si aggiungono poi un patrimonio di scritti del maestro, i cartigli, che raccontano i viaggi, i propri concetti di arte, le recensioni di mostre, dissertazioni culinarie ecc. Mentre le opere sono già da ora visibili in comune, per apprezzare i cartigli bisognerà attenderne la trascrittura, che servirà per preservare il documento originale. I “cartigli” mostrano che Carlo era una “brava penna” allenata e alimentata attraverso intensi taccuini di viaggio in cui sono fissate con “pennellate di parole” i ricordi di una vita a volte frenetica.

Una scrittura poetica, una descrizione meticolosa e puntigliosa che il maestro usa nel raccontare ogni cosa, utilizzando una terminologia spontanea ma ricercata usando vocaboli che generano l'atmosfera appropriata. Come i suoi paesaggi sono godibili anche senza conoscere nulla della sua impegnata ricerca concettuale, cosi gli scritti sono facilmente leggibili, lontani da una dotta e professorale stesura.

Scrittura e pittura sono in grado di ricreare l'atmosfera dei luoghi; egli racconta dell'aria, del clima, perfino dell'umidità che in quel momento e in quel determinato posto si percepiva.

La poetica artistica di Fayer è mutevole negli anni e Carlo, fortunatamente, ha vissuto molti anni producendo una moltitudine di opere e, soprattutto in queste qui esposte, ci si accorge di quanto sia sempre presente in lui il bisogno continuo della ricerca, del cambiamento, dei nuovi temi da esplorare: la sperimentazione per lui è necessaria per “andare avanti” e precorrere i tempi così,  anche quando stava realizzando ricerca pura del periodo del Cenobio Visualità è passato oltre, forse perché lo ha abbandonato la curiosità, nulla era più nuovo, tutto di quella fase era stato per lui sperimentato quindi era venuto meno lo stimolo. Era quindi giunta l’ora di intraprendere nuove strade, nuove ricerche.

Sembra quindi che, quando Carlo arrivava alla consapevolezza che tutto aveva sondato, studiato, sperimentato, di quella tematica (idea) che stava perseguendo, lentamente se ne distaccava. Quando arrivava alla consapevolezza che l'opera aveva preso il sopravvento, che la tematica affrontata era diventata VENDIBILE commercialmente fruibile e non la sentiva più sua, passava oltre, prima estremizzandone i concetti poi, pian piano, alla sintesi più pura tracciandone solo linee, segni, ombre, fino all’astrattismo.

Cosi lo è stato per le opere appartenenti al primo periodo, dove il chiarismo e la copia dal vero, paesaggi ben definiti e figure riconoscibili man mano perdono identità lasciando il posto ad un espressionismo puro, qui grumi e macchie di colore abbozzano appena il soggetto rappresentato e lasciano all'immaginazione dello spettatore la definizione dei contorni.

Questo suo continuo progredire, passare oltre sempre nella sua continua e ossessiva ricerca di sperimentazione è maggiormente riscontrabile nel Po: dai paesaggi trattati con occhio naturalistico della sua prima infatuazione del fiume, figure di donne in primo piano barche ben disegnate "copie dal vero, l’artista sintetizza a mano a mano il paesaggio che a lungo andare assume caratteri sempre meno definiti fino alla sintesi estrema: tutto ormai ridotto a linee orizzontali. L’artista, quando affronta questi bruschi passaggi, sembra voglia preparare lo spettatore ed ecco che all’improvviso pone linee verticali ed orizzontali, in netto contrasto con l’opera, quasi a voler distrarre chi guarda all'opera vera e propria posta quale sfondo per avvertirlo che tutto e pronto al passaggio successivo: non abituatevi a tutto questo perché tutto sta cambiando. La fase successiva è l’annullamento del tema: i colori si pongono sulla tela solo quali gradazioni di una tavolozza (i grigi perlacei del Mascherpa), le reti triangoli e geometrie che suddividendo lo spazio anticipano il passaggio all'astrattismo precursore dell'arte visuale del periodo Cenobio. Gli anni 70 e i fermenti culturali più estremi dell'arte del 900 italiano e mondiale. Il suo periodo più concettuale, grazia anche alla sua frequentazione con l'ambiente della galleria Cenobio Visualità lo porta a sperimentazioni fuori dal coro, quando sarebbe stato più facile e commerciale adeguarsi agli standard in voga all'epoca. No, Carlo non si adegua inventa nuove forme nuovi modi di vedere. Lo specchio in questo senso la fa da padrone alterando lo sguardo quasi a drammatizzare l'infinito. La cerebralità viene rappresentata con teche quasi fossero i cassetti della memoria del ricordo dove specchi riposti all'interno restituiscono una visione contorta, alterata, tagliata così come è alterato lo sguardo dello spettatore nell’ammirare l’opera realizzata con materiali plastici ondulati. Gli occhi non riescono a vedere in modo corretto le sovrapposizioni che non conoscono confini di profondità, ma le percepiscono in un gioco di rimando.

Questa sua azione di spremere tutto quanto e possibile da un'idea, da un concetto, la riscontriamo anche nel muro, ma con un percorso al contrario. Provenendo dall'astrattismo, dagli studi di grafia e di sintesi tratta inizialmente il muro in modo sintetico, pura texture, confine e soprattutto ostacolo verso l'oltre (l'inconscio???). Il passaggio successivo rivede il concetto attraverso aperture, finestre che concedono una speranza ad osservare l'infinito e in questo infinito appare quasi silenziosamente l'umano, mai essere definito ma figura larvale senza volto, ombre di se stessi fantasmi di quanti hanno vissuto o vivranno attraversando muri di incertezze, un fratello illegittimo delle sottili figure che in solitudine pescano sul Po.

Breve nota alle opere esposte:

Scalinata di accesso al piano superiore i primi anni – dal Chiarismo all’Espressionismo:

Divano Siviglia Natura Morta Posa Ritratto Il sogno Paesaggio del Garda – Moniga

La pittura di Fayer era partita da un iniziale accademico sguardo educato sulla natura e non lasciava intendere ancora gli sviluppi successivi di ordine non-figurativo, ma si assestava in un clima tutto lombardo dominato da un colore mediterraneo, tendente a smaterializzare i volumi in una dominante tonale tipica chiarista alla Carlo Martini. A dimostrazione, però, di quanto disparati allora fossero gli interessi di Fayer nei confronti della tradizione moderna è del resto testimoniato in opere in cui il vivace colorismo tendente a una vita indipendente rispetto alla descrizione del soggetto indica quella visione distaccata, non partecipe della vicenda umana fissata in quell'attimo che sarà una delle costanti dell'approccio del pittore. Nei primi anni '50 il pennello di Fayer oscilla quindi tra un colorismo vivacemente mediterraneo, un'espressione tonale lombarda e un'ingenuità espressionista dal "tono fiabesco", tipica di una visione più intimista. Sin dalle sue prime esposizioni, i critici, hanno largamente enfatizzato nell’autore il suo rapporto con la luce: “È la luce atmosferica la componente base del suo lavoro, sia che si tratti di opere figurative o di opere astratte. Luce atmosferica percepita non solo con gli occhi ma anche con la pelle. “Complessivamente”.

Verso la fine degli anni 50, il pittore aggiorna il suo modo di rapportarsi con il paesaggio e con le figure, intraprendendo un nuovo percorso artistico, quello che allora era chiamato neo-naturalismo. Solo attraverso la concezione del colore materico e pastoso, in quell'idea di paesaggio vissuto internamente e tradotto in un linguaggio informale come espressione materica di un'attestazione esistenziale, si comprende il passaggio di Fayer agli anni Sessanta.

Ma il neo–naturalismo viene ben presto abbandonato. Opere degli anni '60 sono esempio di una maturazione ulteriore, dopo l’Informale, avvenuta forse a contatto con un clima di ritrovata figurazione "esistenziale", le cui figure allucinate paiono un'emanazione: l’artista conserva sempre lo stimolo alle ricerche formali, ma ora con crescente libertà espressiva.  In queste visioni di paesaggi dei primi anni Sessanta prevale una visione atmosferica dai toni freddi, cupi, la rielaborazione del colore sensibile e modulato, una tendenza alla sintesi, all'essenzialità, una riduzione dell'immagine al suo volume pittorico, una versione in poesia delle salde architetture strutturali.

Religiosità (All’esterno della sala consigliare alla sinistra)

Fayer ha ricevuto un’educazione religiosa molto importante e la religiosità viene spesso rappresentata in opere realizzate in diverse chiese (affreschi, ceramiche, vetrate ecc.) ma anche in quadri quali ad esempio quelli esposti: troviamo una raffigurazione della “Madonna del Roçio”, un “Cristo nel muro” ed un’opera di grandi dimensioni dal titolo “Nel Nome del Padre”. In un gruppo di personaggi, stagliati sullo sfondo, anela a un Assoluto. C'è però un particolare inquietante; i personaggi non sono uomini, ma ombre di se stessi, scarnificati da tutte quelle ingombranti e devianti sovrastrutture che noi stessi ci costruiamo, trappole micidiali che ci fanno inciampare sul sentiero della verità. Domina qui il silenzio assoluto.

Opere di grafica (all’esterno della sala consigliare a destra)

Carlo Fayer ha sempre voluto cimentarsi con tutte le tecniche artistiche possibili, imparando dal niente e perseguendo il suo scopo fino a raggiungere livelli eccellenti. Una delle tecniche usate insieme all’amico Gil Macchi, lo ha visto impegnato nel produrre "in casa" con un torchio personale, incisioni, stampe, acquaforte ecc.

Sala Consigliare – di fronte all’ingresso – il Po

All’inizio degli anni sessanta, invitato ad esporre al premio nazionale di "Casalmaggiore" Carlo Fayer scopre il Po che, diventato per lui tema dominante, tanto peso avrà nella sua ricerca pittorica. Gli spazi del grande fiume, i vasti silenzi, i grigi perlacei dei sabbioni e dei pioppeti lontani, i personaggi solitari saranno via via elaborati fino ad essere trasferiti da un’iniziale indagine naturalistica ad una emblematizzazione spaziale.

Fayer inizia una ricerca del tutto nuova, un ciclo che indaga il rapporto tra figura e paesaggio, nella dimensione esistenziale del Po e dei personaggi ancestrali che lo abitano: tracce residuali di un'umanità ai margini, spettatori di un evento naturale primitivo e in un certo senso atroce, nella sua aridità, in contrapposizione ai ritmi di una incipiente società dei consumi. I paesaggi sono caratterizzati da una monocromia di luce che diviene quindi emblema di monotonia, quel lento scorrere del fiume in un’aura del tutto avulsa. È come se, nella nuova configurazione espressiva dell'artista, quel colore-luce, frutto delle visioni del Po e dei suoi argini, quel tono "grigio/argento/perla/ocra alla base della sua anima", invadesse la composizione, costringendolo a porre certe figure ai margini come virtuali spettatori della scena.

Il periodo del Po può essere diviso in quattro sotto temi distinti.

  • Il realismo - naturalismo dove si riconoscono in modo chiaro paesaggio e figure con un ampio uso dei colori.
  • I personaggi sull’argine la cui struttura di base presenta invece il motivo di un'unica nera figura centrale stilizzata ridotta a macchia astratta, ma ancora riconoscibile, silhouette nera fusa con gli attributi stessi del lavoro, strumenti di pesca, pali, reti, tramutati in forme geometriche, in una superficie bianca argentea grigia.
  • Il Po’ sintetizzato dove in una totale assenza di personaggi, gli elementi grammaticali del paesaggio, lunghe strisce parallele, si tramutano in stratificazioni astratte con i colori che spaziano, oltre ai grigi, anche agli ocra e ai marroni.
  • Il Po astratto dove un'ulteriore sintesi lo porta alla serie delle reti ormai elementi astratti in libero campo geometrico. Del paesaggio resta l'idea. Ne sono testimonianza opere in cui appare anche un motivo a banda laterale che respinge intenzionalmente ogni riferimento alla realtà visiva.

Con il Po, il maestro ha colto l'atmosfera di un paesaggio passato. Crea un'atmosfera quasi metafisica. Fissa un momento, una riflessione. I colori sono reali e vivi, ma nel contempo fermi. Riesce a far percepire la luce in quel certo momento della giornata, la luce del mattino, del meriggio o della sera; e cosi per l'avvicendarsi delle stagioni. Ha una capacità cromatica che gli fa leggere nei colori l'identificazione fotografica. Lui ha vissuto in queste terre, nei suoi quadri c’è l'atmosfera poi le figure nere. Le vele del Po si geometrizzano, divengono quasi architetture. Il soggetto diventa l'uomo, solitario, nel paesaggio... forse è proprio lui quella figura in solitudine che abita tante sue opere.

Il maestro ha dipinto innumerevoli volte paesaggi d'acqua: il fiume, il lago, la laguna....

Acqua che scorre e acqua che par ferma, spazi dilatati e rive dai margini precari in continua mutazione.

E’ una costante: il paesaggio specchiato nelle acque placide... il sole, gli alberi, il canneto, il profilo dei boschi all'orizzonte... il mondo reale proietta la sua immagine sulla superficie dell'acqua: un mondo illusorio, in cui il reale diventa miraggio capovolto. 

Al di sotto della superficie riflettente, l'inquietudine dell'ignoto e del non visibile.

La stessa forza e potenza del fiume è latente minaccia sotto l'ingannevole pacatezza delle sue acque piane...

Eppure è proprio questo miraggio riflesso che produce l'incanto, la quiete, e che dilata il tempo.

È il mondo capovolto e inconsistente sotto il quale si cela l'ignoto, che alimenta l'immaginazione e l'introspezione. A volte allucinazione, a volte pacificato acquietamento.

Sala Consigliare –Ingresso a destra – il Muro

Negli anni '80, complice il fenomeno italiano della Transavanguardia, Fayer arriva alla maturazione di un nuovo ciclo che si identifica con la poetica del «muro», inteso come manufatto dell'uomo, composto di mattoni. Anche questo ciclo può essere suddiviso in sotto temi:

  • Nei primi anni Ottanta il motivo si pone come pura "texture" (all'estrema destra della parete, in alto) che raffronta tecniche differenti in dialogo tra loro, un muro inciso, un muro dipinto su tela e un muro-scultura, costruito in terracotta, dialogano tra loro come differenti momenti espressivi di una medesima idea di assenza, di apparente rinuncia alla definizione di un soggetto.
  • Nel secondo passaggio la costruzione di mattoni si apre regolarmente in un punto in modo da lasciare un varco, una "finestra". Lo sguardo è ancora il soggetto delle riflessioni di Fayer, non più riflesso nel gioco dello specchio, ma apparentemente negato. Il muro e la finestra diventano infatti motivi dominanti.
  • Alla fine del decennio muri e finestre si combinano con una figura umana tornata larva. Come nel ciclo degli argini la presenza della silouhette umana, geometrizzante, diveniva simbolo della condizione transitoria dell'uomo, nella serie dei "muri", soprattutto nell'evoluzione di fine decennio, appaiono figure umane sintetizzate che nascono dal muro, come parte della stessa materia, ombre autonome che prendono vita. Si tratta di nuovi sguardi metafisici che alludono all'incertezza del tempo presente, anticipando un evento di portata storica come la caduta del muro di Berlino, celebrato poi in "Berlino", opera in cui i fantasmi della libertà attraversano muri apparentemente impenetrabili.

 

Come affermava Marcella Stefanoni nel 1984 in una mostra relativa al “Muro”, "i punti fermi di Fayer invitano altrove, il muro è un fantasma della rappresentazione, mentre l'invisibile è una presenza mutevole che compare e al tempo stesso scompare lasciando dietro di sé un ricordo estensibile. Si può dire che l'infinito e l'inafferrabile costituiscano il cardine della lettura dell'opera. Fayer non è uno chiuso in studio, è attentissimo a quello che c’è in giro. Nei muri non è stata persa l'atmosfera del paesaggio (colore, superficie, atmosfera, luce). La figurazione non viene meno: è sintesi espressiva.

All’interno della sala consiliare sono poi esposte altre opere dell’autore, gli affreschi, (al centro dell’aula e sulla parete di fronte al banco consiliare) altra tecnica artistica che, come la ceramica, ha sempre caratterizzato la produzione Fayeriana, utilizzata fin dal primo soggiorno in Liguria con l’amico Biondini dove, per vivere, affrescava chiese. Agli inizi degli anni Sessanta, al termine di una discesa del Po in zattera in compagnia di amici, fu invitato da uno di questi a casa sua. Era il pittore Giuseppe Motti di Arena Po, allora celebrato “pittore del Po”.

Con lui e con l’amico comune Dino Villani, Carlo, dopo un giro del borgo rivierasco, scelse la casa sulla cui parete eseguire un affresco. L’opera dalle dimensioni ragguardevoli (2.5 metri in altezza e 1.5 metri di larghezza), raffigura due personaggi sull’argine del fiume. Dopo di lui altri artisti, “Amici del Po e dell’Arte”, decorarono e impreziosirono il borgo di Arena Po.

Negli anni 1996-97 ha diretto i corsi della scuola internazionale di tecnica dell’affresco nel paese dipinto di Arcumeggia (VA) ed è stato incaricato della direzione dei corsi estivi dell’affresco per il 1999 nella città di Vira (Svizzera).

Dopo quasi 40 anni, nel 2000, Carlo scoprì che il suo affresco era l’ultimo rimasto sulle case del borgo e si offrì di restaurarlo.

Nel 2003, anno internazionale dell’acqua, i Comuni, gli Enti e le Associazioni aderenti al progetto “ACQUA BENESSERE SALUTE” decisero di creare un itinerario, una passeggiata artistica, tra i Borghi sulle due sponde del grande fiume decorandoli con l’arte dell’affresco. La direzione artistica del progetto fu affidata proprio a Fayer; furono coinvolti 12 artisti che si esibirono in altrettanti paesi.

A seguito di questa felice esperienza Carlo Fayer fu incaricato di curare le rassegne “Crotta dipinta”.

Va ricordato inoltre che è opera di Carlo Fayer la santella di via Pesadori a Crema raffigurante sant’Anna.

Ma nella sala consiliare primeggia su tutto la grande opera “Guado del Serio”, grande quadro raffigurante soldati, cavalieri in un paesaggio di fiume. Ma a cosa si riferisce la scena rappresentata nell’opera? Cosa rappresenta?

L’emerito nostro concittadino Pietro Savoia, grande studioso di storia locale (e non solo) racconta che l’opera è nata dalla passione sua e dell’artista Carlo Fayer per la storia del nostro comune ed in particolare il soggetto è stato individuato interpretando gli scritti del Terni, sulla storia di Crema, che descrivono le truppe del Barbarossa, che nel 1159 hanno guadato il fiume Serio fra le due Ripalte per raggiungere e tendere d’assedio il Borgo Fortificato di Crema. Come per la città di Crema, che a ricordo di questo lungo e crudele episodio ha intitolato la sala consiliare all’opera di Giuseppe Perolini “Gli Ostaggi di Crema”, anche Ripalta, ora, ha la sua dedicata ad uno dei pochi episodi che hanno visto la nostra comunità protagonista della Storia: il guado del Serio.

Ufficio del Sindaco e corridoio di accesso alla sala della giunta: Arte concettuale

Gli anni '70 sono caratterizzati da un fermento artistico in Italia e nel resto del mondo. Fayer si apre alle contemporanee ricerche della pittura analitica, impegnata in un recupero del "Concretismo storico", periodo in cui, sulla base di un aggiornamento visivo continuo, vaglia le possibilità di un libero dispiegamento spaziale della forma, sperimentando una fase di grande libertà espressiva e di creatività non più vincolata dai riferimenti oggettivi. Interessa a Fayer la visione in sé, l'ambiguità della forma e la sua apparenza, la persistenza sulla retina della memoria di un'immagine.

L'evidenza di quell'approccio razionale nei confronti dell'opera d'arte, da sempre coltivato e ormai palesemente giunto a maturazione, lo porta a conclusioni che implicano una riflessione sulla visione e sulla condizione percettiva dell'opera. Non è escluso che in questo percorso abbia avuto un certo peso la vicinanza con l'amico Eduardo Sanz, che opera nella città cantabrica di Santander. Parallelamente alle opere pittoriche, Fayer crea quindi degli oggetti cinetici: opere che nascono grazie alla vicinanza con l'ambiente della galleria milanese Il Cenobio Visualità, uno spazio che alla fine degli anni Sessanta si pone come riferimento per le nuove tendenze di pittura analitica, di ricerca concettuale e come laboratorio attivo dell'arte cinetica internazionale. È qui che in una collettiva del 1972 l'artista "tenta nei limiti dell'umano una dimostrazione del concetto d'infinito". Impiega quindi gli specchi in opere come "Composizione" avviando un processo di moltiplicazione all’infinito del segno, in una prospettiva cosmica e diremmo globale, dove si attua il rispecchiamento e la partecipazione di chi guarda. I riferimenti concettuali di Fayer tuttavia non affondano, se non in misura riflessa, nelle questioni dell'arte di quegli anni e non si vincolano alle correnti più in voga, ma si avvalgono di una sperimentazione in proprio. Nelle sue composizioni a teche si compie un raffinato gioco di rispecchiamenti, sia della propria immagine sia di alcuni frammenti visivi di testi inclusi in piccole finestre, metafore di spazi e di interiorità celate a metà.

Ben presto l'attrazione per la visualità, sulla base di una vivace partecipazione al gruppo del Cenobio, si sposta nell'ambito dell'ambiguità concettuale della comunicazione, nell'aleatorietà delle immagini e in una pratica artistica che prende in considerazione la scrittura, lo scarto concettuale tra significante e significato. Colpiscono in tale senso opere più concettuali, ma non meno sensibili di quelle pittoriche come gli "Studi per il tempo", ancora una riflessione sull'ambiguità delle apparenze fenomeniche, sulla sedimentazione delle immagini e sulla reiterazione modulare nel tempo; o il ciclo delle "Mythologies" che riprende con sottile ironia la nozione di mito tipica della società dei consumi, capace di elevare un segno qualsiasi al rango di opera d'arte celebrata, nella sorprendente capacità di trasformazione di un'immagine a icona.

Nella seconda metà del decennio Fayer sviluppa una serie di opere legate alla comunicazione visiva dei cartelli stradali e delle insegne, riprodotte fotograficamente e poi riportate su tela o su carta, o installate in galleria come nel caso della personale del 1974 al Cenobio in cui espone l'azione e il risultato dell'operazione di traduzione e riporto dell'insegna di una salumeria, accumulando un patrimonio di soluzioni che costituirà la base di sviluppi successivi.

Ancora nell’ufficio del Sindaco troviamo inoltre tre opere non appartenenti al periodo concettuale ma antecedenti:

  • Sul muro di destra l’opera “Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace nel 1952” opera che si presume realizzata a fronte di un concorso per la decorazione dell’erigendo Ospedale Maggiore di Crema.
  • Alle spalle del sindaco, a destra, un’opera dell’estrema sintesi del Po
  • Alla sinistra del sindaco “La caduta dell’edile” realizzato negli anni ’60 nel periodo in cui l’artista pone lo sguardo sull'uomo al lavoro nel paesaggio, tema sempre caro al pittore. Contrariamente all’opera i "Lavoratori della Pianura Padana", dove si rivela già l'ambizione a considerare i corpi come semplici forme o silhouettes colorate, nell’opera in questione, quasi ad enfatizzare il grave fatto successo e cioè la morte di un lavoratore caduto da un’impalcatura, i toni si fanno cupi, la silhouette dell’uomo diventa un’informe ombra alla base dell’opera. Solo toni grigi neri a rappresentare il dolore.

Inoltre troviamo anche alcune opere di Ceramica, una produzione artistica cospicua che merita un discorso a parte è infatti la scultura. Questa tecnica è sempre stata seguita con passione dal maestro in tutti i suoi “periodi” artistici. Vi sono le trasposizioni in ceramica a metà tra forme primitive e un certo automatismo segnico di origine informale, la realizzazione in scultura degli uomini del Po, il Muro…

Fayer non segue i canonici passaggi, dalla creta, alla cera, al bronzo, che distinguono la ricerca scultorea classica ma sceglie, piuttosto, la terra come elemento principe, da modellare a pollice, per lasciarvi impressa la genuinità del gesto in un momento iniziale.

L'argilla prima di tutto pare essere stato il suo mantra: gli impasti a crudo e poi l'azione del fuoco, in grado di variare il colore e di estrarre dalla terra sfumature naturali, non hanno richiesto altri interventi. La natura, per Fayer, vince di spontaneità. E lui lo sa bene quando, dai "teatrini" ai bassorilievi, dai "muri" alle "steli", non ha ceduto, se non raramente, al fascino dei rivestimenti e dello smalto, lasciando libertà d'azione al suo bel rosso mattone, alle sfumature dei gessi e delle crete, esaltando nella forma i colori endemici.

La maestria di Carlo in questa tecnica è stata da sempre tenuta molto in considerazione tanto che, vari enti, periodicamente, gli hanno commissionato corsi e laboratori di ceramica.

 

Architrave all’ingresso della sala giunta: Filatelia

Negli anni Novanta e Duemila il ciclo dominante è la Filatelia, incentrato sul linguaggio postale e sull'immagine del francobollo. Le scritte di vecchie cartoline, i francobolli di una vita, i ricordi, le firme di un passato remoto che incalza sono solo alcuni dei tanti temi che Fayer ha riattivato in grandi tele colorate, secondo un percorso circolare che coinvolge non solo la propria storia, ma metaforicamente l'intera vicenda umana. Il ciclo della Filatelia assume i connotati di un viaggio à rebours nella propria memoria, ma anche nella storia dei segni, degli alfabeti, delle più comuni e popolari immagini della comunicazione che hanno identificato il Novecento. Scrive l'artista al proposito: "Al tempo in cui eravamo bambini il 'recapito di un Espresso' era un accadimento straordinario [...] lo si capiva dagli atteggiamenti ansiosi e di interesse dei grandi nello scambiarsi i fogli del messaggio [...]. Per me il mistero era tutto nell'affascinante francobollo così misteriosamente diverso dai soliti [...]. Fin da bambino, nella loro suggestione di colori e raffigurazioni miniaturizzate in cui si potevano scorgere fiabeschi mondi lontani ricchi di segrete sensazioni, li raccoglievo'"'

E’ un approccio a volte persino affettuoso con la matericità di carta, inchiostro, e francobolli. Mai interessato alla mera riproduzione, ma ogni volta impegnato a far emergere il valore pittorico, reinterpretando e ricomponendo forme e colori.

È un tema che lavora sulla memoria... il francobollo ricorda i personaggi nel tempo, e quanto è legato alla posta ha una funzione plurale di evocazione di memorie. Fayer va a scavare con la lente la materia, la scrittura, il timbro la carta.... Costruisce un periodo concettuale in cui annuncia l'estinzione del francobollo e della lettera di carta. La sua ricerca formale è diventata anche documentazione archeologica, un viaggio a Rebours nella propria storia, ma anche nella storia dei segni, degli alfabeti e delle più comuni e popolari immagini della comunicazione che hanno illustrato il novecento.

 

Come si è potuto apprezzare in questo excursus, grazie ancora alla magnanimità degli eredi, possiamo sostenere che quanto ricevuto è un grosso “regalo” alla popolazione intera che può vantare, simbolicamente, di “possedere” una pinacoteca di gran classe: il valore e l’importanza artistica delle opere, infatti, non può che restituire una nota di prestigio all’istituzione e, di rimando, all’intera popolazione che potrà beneficiare dell’esposizione e in questo modo far rivivere e conoscere l’opera del maestro e ridonare alle opere stesse la giusta visibilità in una cornice che le valorizzi.

Per visite guidate solo previo appuntamento:

Martedì e Giovedì dalle 17.30 alle 18.30

Sabato dalle 9.30 alle 10.30

Contattare il numero 3477743970

 

Bibliografia di riferimento

“Carlo Fayer – I luoghi dello sguardo e della mente” Catalogo alla mostra Silvana Editoriale

Ester Bertozzi - Carlo Fayer “Un educato ribelle” Insula Fulcheria, rivista n. XLI - 2011

Modalità di accesso:

Accesso libero e gratuito.

Indirizzo

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  • Telefono: 0039 0373 68131
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Pagina aggiornata il 09/09/2024